Tra bagni di acqua dolce e sacre meditazioni sui monti (e come sfondo, l’isola di un santo)
A un certo punto, sarà capitato anche a voi di perdere il passo, nella corsa degli impegni e degli obblighi di tutti i giorni. Le nostre abitudini sono scandite da tempi frenetici e ripetitivi. Assolviamo alle necessità di un quotidiano che ci sfugge dalle mani. Finendo poi per non riuscire a reggerci in piedi e pendere in qua e in là, barcollando alla ricerca della giusta andatura, sopra gli accenti agitati di un ritmo che non è più il nostro.
Ed è arrivato allora il tempo di prendersi una pausa e partire per un viaggio, che diventi per noi che lo compiamo un dono prezioso e una storia speciale, fatta di luoghi e incontri, da raccontare a quelli che questo viaggio lo inizieranno, seguendo le orme del nostro cammino.
Non sarà una vacanza glamour, per esibizionisti dallo scatto compulsivo e dalle interminabili sequenze audiovisive pubblicate sui social per appagare la propria vanità.
Non sarà una moda turistica a guidarci ma il bisogno di concederci un’esperienza che lambirà valori dati per dispersi o non pervenuti nella vita di ogni giorno: lentezza, bellezza e spiritualità.
Sono ingredienti di quella salute dell’anima che fanno al caso nostro, sperduti cercatori – di ogni età – di un diverso modo di vivere.
E per un esemplare di viaggiatore di questo tipo, quale miglior dono se non quello di imbattersi in luoghi e persone capaci, con la loro energia e freschezza, di risvegliare quella libertà interiore e quello spirito di novità fiaccati dalle provocazioni della modernità?
Luoghi antichi ma vitali, operosi, senza alcuna voglia di spegnersi nella memoria inerte di un passato ormai tramontato, perché la loro forza e dignità sono ancora lì, trasfuse dal passato a un presente costruito grazie al vigore e all’intelligenza delle persone che oggi vi abitano.
E non bisogna attraversare continenti per trovarne ma imparare a guardare e a sentire, andando alla radice di ciò che ci circonda, di quei territori che senza proclami e celebrazioni hanno tanto da dirci.
Approdati a queste rive, troveremo certamente naviganti disinteressati e sordi ai richiami provenienti da queste terre, plasmate dalle sapienti e creative mani della natura e dense di echi della lunga storia degli uomini che le hanno popolate.
Non ce ne dispiaccia: ciò che conta è accogliere con gioiosa gratitudine il momento di grazia che il destino ci regala, lasciarsi conquistare da questi rifugi fioriti di senso e valore. Per sottrarre spazio alle logiche del deserto spirituale in cui molti si trascinano. O perlomeno, dare prova, una volta tornati alle nostre esistenze abituali, di come anche a casa nostra si possa vivere secondo il proprio passo, a un ritmo che riconosciamo come nostro e di nessun altro.
Esiste un lago, nel Piemonte novarese che, come molti altri del Nord Italia, nasce da antichi ghiacciai scomparsi e si adagia tra catene di monti e colline di varia forma e grandezza.
È il lago d’Orta, il più occidentale dei grandi laghi delle Prealpi italiane, separato dal maestoso Lago Maggiore dal massiccio del Mottarone mentre altre montagne, le Alpi Cusiane, lo distaccano dalla Valsesia.
A differenza del suo vicino più celebre e imponente, il lago d’Orta è una piccola e tranquilla meraviglia della natura che, col suo dolce profilo e la placida bellezza dei suoi paesaggi, invita ogni suo visitatore alla contemplazione e al raccoglimento.
Le sue rive sono costellate di borghi antichi, porticcioli, spiagge libere o attrezzate, minute insenature dove poter fare bagni ristoratori di acqua dolce in un’atmosfera sospesa e fatata, dovuta specialmente alla presenza di un’isola incantata, la sola del lago, che fin dal primo degli innumerevoli sguardi che essa facilmente concede a camminatori e bagnanti delle due sponde, ci cattura col suo fascino senza tempo, nella sua unione perfetta di natura e antichi edifici.
L’isola di San Giulio deve il suo nome al santo che, secondo la leggenda, al tempo dell’imperatore romano Teodosio avrebbe diffuso il Cristianesimo in questo specchio d’acqua, sconfiggendo draghi e serpi che lo infestavano, forte della sua fede e di un magico mantello con cui vi navigò, per raggiungere l’isola e fondarvi la sua chiesa.
Racconto fantastico e storia si intrecciano e ne siamo consapevoli quando giungiamo ai tempi d’oggi, con un comodo traghetto, su questa gemma preziosa. Infatti, vi sorgono la basilica di San Giulio e l’abbazia benedettina femminile di clausura Mater Ecclesiae (un tempo seminario vescovile e prima ancora castello), fin dall’età romanica (XI/XII secolo d.C.): ma raffinate tarsie e gli altri decori marmorei custoditi nella cripta della chiesa (insieme alle spoglie di San Giulio e di altri quattro santi), fanno risalire il luogo di culto addirittura a un periodo compreso tra il V e il VI sec. d.C.
L’isola, grazie anche alla sua posizione prossima alla riva, si prestò fin da subito, nei secoli tormentati del Medioevo, ad essere non solo luogo di elezione per santi evangelizzatori e monaci operosi ma anche naturale baluardo difensivo, rifugio per le popolazioni locali contese tra i grandi potenti di quelle epoche. Facciamo molta fatica ad immaginarlo adesso, ma battaglie e lunghi assedi, con il loro carico di paura, strepiti e urla arrivarono anche qui, nel luogo che ci appare ora come una sorridente e benefica perla baciata dalla bellezza, immersa nella luce della pace e del silenzio. Una magia, dai colori e dalle luci che variano a seconda delle ore del giorno e della posizione da cui osserviamo i suoi tetti grigi, l’unico sentiero lastricato ad anello che l’attraversa e le antiche case, un tempo dei canonici della chiesa e ora dei pochissimi abitanti che per lo più la abitano solo nei mesi estivi.
L’isola dista non più di 400 mt ed è collegata nel periodo estivo giornalmente da traghetti al borgo di Orta San Giulio, che ci appare come un sortilegio di bellezza, con le sue strade fatte di ciottoli di fiume e lastre di porfido rosa. La stessa pietra delle colonne che scandiscono i portici e i loggiati degli antichi palazzi, che siano semplici abitazioni o aristocratiche dimore, secondo le possibilità e gli stili che si sono, di volta in volta, succeduti.
Alzando anche di poco lo sguardo, lastre di pietra grigio chiara ricoprono tetti di case e coperture di chiese (“beole” o “piode” le chiamano da queste parti), creando un paesaggio che stupisce per la sua uniformità ma che non stanca, non annoia mai. Infatti, tra i palazzi ve ne sono alcuni affrescati a vivaci colori, con scene mitologiche, storie di Cristo e della Madonna o, ancora, con gli stemmi delle famiglie e dei vescovi che governarono tutta la riviera. E, tra le chiese, alcune con delicati colori su pareti semplicemente intonacate di pietra a vista ed altre dalle facciate più mosse e articolate di gusto rococò.
E il suo Municipio? Nulla di più lontano dai moderni centri polifunzionali in acciaio e vetro delle nostre metropoli. Entrare in Villa Bossi, infatti, non vi farà pensare certo al disbrigo di pratiche e documenti: questo affascinante edificio porticato a tre piani vi condurrà, oltrepassato l’atrio, in un giardino direttamente affacciato sul lago, tra una galleria vegetale dove riposare su confortevoli panchine, aiuole fiorite, una piccola sala lettura e annesso panorama. Una superba cancellata in ferro battuto conclude nobilmente la visuale sul lato prospiciente l’isola. Una celestiale armonia liberamente accessibile a tutti, dove si amministra la vita della piccola comunità ortese.
Ma il cuore autentico di Orta San Giulio è un altro ed è aperto su due direzioni, opposte ma congiunte nel segno della spiritualità, una abbraccia l’acqua e l’altra sale al cielo.
È a Piazza Motta (dal nome del partigiano torinese Mario Motta), che bisogna recarsi per accorgersene: dischiusa da un lato, come in uno slancio d’amore, verso il lago e l’isola, che da qui sembra un suo naturale prolungamento proteso verso l’acqua; dall’altro, essa si inerpica, con delicata scioltezza, in una meravigliosa prospettiva, quella della Salita della Motta, che inanella sul suo lastricato di gradoni in pietra, i suoi palazzi più belli, prosegue verso l’alto in una morbida curva e termina davanti alla facciata rosa tenue della parrocchiale di Santa Maria Assunta.
Ora provate a chiudere gli occhi e, spalle alla chiesa, voltatevi verso il borgo appena attraversato lungo la salita. Il sentimento di stupore che proverete sarà pieno e avvolgente, scenderà come una melodia gioiosa seguendo la linea discendente della strada, sobbalzando ai ritmi dei gradoni, lungo i palazzi nobiliari con le loro fattezze di una sobria eleganza e di una solida semplicità di paese, aristocratica e popolare insieme, si soffermerà sui colori delle pareti, degli affreschi e dei fiori freschi sui balconi, terminando sull’azzurro del lago.
Ma dalla chiesa dell’Assunta, proseguendo sulla destra, la strada cambierà fisionomia, assumendo un aspetto nuovo: il paese e il lago saranno visibili, in splendide vedute, solo tra gli spazi liberi e le curve più ampie, di un sentiero protetto dagli alti muri di case e giardini privati, fino al bivio con il cimitero di San Quirico, da cui comincia il percorso del Sacro Monte d’Orta, dedicato a San Francesco d’Assisi.
Ed è qui che il borgo, l’isola e il monte si uniscono idealmente e fisicamente, nel segno di una spiritualità rinnovatasi nei secoli, secondo diverse forme e codici espressivi ma sempre volte a cercare una sintesi possibile tra uomo e natura.
Il Sacro Monte d’Orta è un miracolo di armonioso equilibrio tra la natura dei boschi in cui si sviluppa, la storia lunga quasi due secoli della sua realizzazione, l’arte che in esso ha trovato espressione e la religiosità semplice e diretta a cui si è ispirato.
Ideato alla fine del ‘500 dall’abate novarese Amico Canobio e dall’architetto cappuccino Cleto da Castelletto Ticino, con lo scopo di rinsaldare, nella popolazione locale, la fede nella Chiesa di Roma negli anni difficili della Riforma protestante che, al di qua delle vicine Alpi, riscuoteva sempre più ampi consensi, il Sacro Monte è un percorso devozionale che si snoda nel bosco sovrastante il borgo, costituito da un parco e venti cappelle immerse nella natura, che illustrano, con sculture di terracotta dipinta a grandezza naturale e affreschi, gli episodi della vita di San Francesco.
Le cappelle sono tutte diverse l’una dall’altra, costruite nell’arco di circa due secoli, sempre però con un’estetica di stampo classico, secondo forme a pianta circolare o quadrata, provviste in qualche caso di porticati o loggiati, con grate di ferro finemente lavorate a separare i visitatori dai gruppi scultorei.
Una vera e propria sacra rappresentazione della storia del santo d’Assisi, resa possibile dall’estremo realismo espressivo dei personaggi e dall’accentuato carattere teatrale delle scene, che nelle cappelle del Settecento si fanno sempre più grandiose e complesse (per numero di figure, loro distribuzione nello spazio, dinamicità complessiva della narrazione), dove gesti e caratteri sono decisamente più marcati e il dialogo tra figure dipinte e statue si fa più evidente.
Il coinvolgimento emotivo per il visitatore si fa sempre più intenso e partecipato, passo dopo passo e cappella dopo cappella. Il Sacro Monte diventa così per noi un invito a soffermarsi, nella contemplazione, su questa unione inseparabile di natura, spiritualità e arte.
Come e più di un moderno architetto-urbanista, padre Cleto è stato un autentico frate paesaggista, che ha pensato a questo promontorio boscoso come parte integrante del percorso di fede e di ricerca interiore offerto dalle cappelle. Fu infatti scelto di rispettare e non stravolgere l’assetto vegetale già presente sull’altura prima della realizzazione dell’opera, inserendo armoniosamente alberi e piante lungo il cammino, a creare un ambiente tale da facilitare l’immedesimazione nell’esperienza mistica e caritatevole del “poverello” d’Assisi, che in sé incarna la figura del Cristo.
E al termine dell’itinerario, ci attende la chiesa di San Nicolao, totalmente rimaneggiata nel Seicento, che custodisce una molto più antica e venerata Pietà in legno, di fattura tedesca e risalente ai secoli X – XI.
Il punto di arrivo di una incredibile e inaspettata avventura dell’anima, che si conclude sulla terrazza panoramica davanti alla chiesa, da cui ritrovare il borgo e l’isola da cui siamo partiti, in un incessante ma silenzioso dialogo che da lungo tempo li unisce, di cui noi possiamo ora essere grati testimoni, pronti a raccoglierne il messaggio di pace e armonia.
Ma la nostra storia ha ancora qualcosa da raccontare e che ci sorprende.
Tutto il lago conosce in più parti occasioni di attività fisica o di pratica sportiva organizzata, legata ovviamente all’acqua. Oltre al relax offerto dalle piccole incantevoli spiagge di Orta, di Pettenasco, di San Maurizio d’Opaglio, ai lidi attrezzati come quello di Gozzano sulla sua punta meridionale, ci accorgiamo passeggiando sul lungolago di Orta che sono numerosi i centri dove poter noleggiare canoe e kayak oppure iscriversi ad appositi corsi.
E tra le passeggiate memorabili, affrontiamo con serenità le circa due ore o poco più che conducono dalla sponda meridionale di Gozzano a Pella, sul lato occidentale: ci attendono canneti, borghi come quello di Lagna coi suoi torrenti tra i giardini e il suo vecchio lavatoio, spiagge come quella di Prarolo, con boschetto ombreggiato fronte lago, sassi e acqua limpida, lungolaghi romantici come quello della frazione di Roncallo, dalla linea morbida e sinuosa, chiese di un’essenzialità remota e suggestiva come quella di San Filiberto, col campanile più antico del lago e la sua corona di cappelle raffiguranti la via crucis.
Giunti a Pella, altro incantevole paese rivierasco, possiamo prendere un battello che ci farà scoprire la sponda settentrionale del lago, dove esso si restringe nella piccola insenatura portuale della cittadina di Omegna, la più popolosa della riviera, che più volte nella sua storia si è trovata ad affrontare le piene dell’unico emissario del lago, il fiume Nigoglia che, contrariamente a quanto accade di solito, sale a Nord anziché scendere a valle e va ad alimentare il lago Maggiore, per effetto di una diversa pendenza dei due bacini idrografici.
Ma l’anima del lago, che gli permette oggi di essere così vivo e apprezzato, nella sua rara armonia tra ambiente e uomo, è data dalla sua gente, che si può conoscere soprattutto tra i tanti paesi che si susseguono al suo interno, tra le colline o nelle loro immediate vicinanze.
Tra questi, Miasino ha il fascino discreto ed elegante di un paesello che non arriva a mille abitanti, posto al termine di una leggera salita che parte dalla più celebre Orta San Giulio. La sua doppia anima, nobile e popolana, sta nelle sue dimore raffinate con cui diverse famiglie borghesi e aristocratiche tra Sei e Settecento l’abbellirono, scegliendola come luogo di villeggiatura estiva, nel tentativo di sottrarsi a quei morbi pestilenziali che afflissero nella storia città come Milano e che purtroppo arrivarono fin qui.
Un esempio di nobile residenza di campagna è Villa Nigra, il cui nome si lega all’architetto lombardo Carlo Nigra, al quale, tra Otto e Novecento, tanto si deve qui sul lago, per le ricostruzioni e gli interventi su chiese e palazzi. Oggi, di proprietà del Comune (che lo apre come sede di mostre e concerti), si presenta come un superbo corpo di fabbrica che fa davvero la differenza nella zona: ad un blocco più antico cinquecentesco, di quattro ordini di finestre, dalle cornici dipinte con timpani di diversa forma e figure femminili allegoriche, si affianca un’ala successiva di almeno un secolo, costituita da un doppio loggiato colonnato, ampio e luminoso, decorato al suo interno con un blu intenso che sembra richiamare la ceramica portoghese degli “azulejos”. Inoltre, una torretta e una centrale ex limonaia aggiunti nell’ultima fase novecentesca della sua storia. E per finire un giardino all’italiana che incornicia il tutto per la gioia degli occhi e del cuore.
A questo “unicum” nel paese di sfolgorante dinamismo barocco fa eco, poco lontano, la chiesa parrocchiale di San Rocco, altrettanto monumentale nelle sue forme secentesche e completata in facciata dal Nigra mentre dell’originario impianto romanico resta solo il campanile. Dal suo sagrato si ha modo di ammirare da una posizione privilegiata l’abitato dall’alto, di una favolosa omogeneità di aspetto, con i suoi tetti grigi di “beole”.
E la casa comunale è, come a Orta San Giulio, una graziosa palazzina con giardino e fontana sul retro, sempre in un’invidiabile posizione panoramica.
Anche lungo le strade, troviamo diversi muri con affreschi che raccontano a tinte vivaci la devozione popolare di un tempo: niente di meglio per nutrire la fantasia alla ricerca continua di motivi di seduzione.
E uscendo da Miasino, tra i luoghi e i panorami più amati da coloro che sono vissuti e cresciuti in questi territori, vi è il vicino Santuario della Madonna della Bocciola, a Vacciago, frazione del comune di Ameno: posto a lato della strada principale, s’innalza presso una terrazza panoramica che contempla tutto il lago, compresa l’isola di San Giulio.
La sua costruzione si deve al miracolo di un’apparizione della Madonna con il Bambino, avvenuta a metà del ‘500 tra i rami di un pruno selvatico (bocciolo nel dialetto locale), ad una fanciulla muta dalla nascita, Giulia Manfredi, che si trovava lì a pascolare il bestiame e che, in seguito a quest’episodio, riacquistò la parola.
La chiesa, così come attualmente ci appare, risulta nelle sue forme neoclassiche forse un po’ asciutta e severa: ciononostante, la grande emozione che noi oggi proviamo, è tutta nel suo dialogo con il paesaggio che la circonda.
Questa terra di monti e di acqua, intima e raccolta, ha ereditato dal suo passato uno spirito che è lo stesso che troviamo nelle persone che la abitano oggi. Spesso sono giovani, che hanno fatto esperienze di vita in giro per il mondo e che qui hanno deciso di tornare, per investire sul futuro di queste località ma con amore e vivo senso di appartenenza. Ci piace immaginare che i loro nonni avessero il loro stesso carattere, laborioso e diretto, sincero e franco, pronto alla discussione come alla riconciliazione. E noi ci arricchiamo di queste preziose virtù, sentendole come conquiste interiori che ci aiuteranno a coltivare, altrove e dappertutto, in luoghi ben diversi da questo, armonia e bellezza nella vita di tutti i giorni.
® Valerio Maria De Sunto